Nel corso dell’Ottocento Parigi è teatro di profonde trasformazioni economiche, sociali, politiche, urbanistiche e artistiche. I moti del ’48, con cui le classi sociali più deboli rivendicavano i loro diritti, avevano portato alla fine della monarchia e alla Seconda Repubblica presieduta da Luigi Bonaparte, che pochi anni dopo, con il nome di Napoleone III, darà vita al Secondo Impero.
Tra i suoi intenti c’era quello di fare di Parigi, la cui popolazione in mezzo secolo era quasi triplicata, una capitale moderna, risolvendone i gravi problemi igienico sanitari, di ordine pubblico, di viabilità.
Per questo nel 1853 nominò Georges Eugene Haussmann prefetto della Senna, a cui affidò il compito di “aérer, unifier, embellir” la città, che presentava un impianto in buona parte ancora medievale. Parigi fu quindi oggetto di enormi interventi di demolizione, di realizzazione di nuovi edifici pubblici e monumenti, di nuovi sistemi idrici e spazi verdi. La creazione di ampi viali alberati rettilinei (boulevards), che univano le varie parti della città, oltre a rinnovarne l’immagine garantiva il rapido intervento delle forze dell’ordine e impediva la possibilità di erigere barricate. Con la realizzazione del piano di Haussmann, Parigi sarà modello di riferimento per tutte le sperimentazioni successive.
È in questo clima di cambiamenti che molti artisti sentirono la necessità di allontanarsi dalle convenzioni dell’arte accademica, per fare dell’arte viva, ed “essere del proprio tempo”, secondo l’espressione del poeta Baudelaire.
Nel 1855 Gustave Courbet inviò all’Esposizione Universale una serie di dipinti, che la giuria rifiutò di accettare; allestì allora una propria mostra, che chiamo Padiglione del Realismo, dove, a pagamento, si potevano vedere opere come Gli spaccapietre, Funerale a Ornans, L’atelier del pittore. Il programma di Courbet escludeva soggetti mitologici, religiosi e storici, dedicando invece tele di grandi dimensioni a scene di realtà contemporanea, spesso giudicate dalla critica scandalosamente vili e volgari. L’arte non doveva limitarsi a descrivere la società, ma contribuire al suo cambiamento.
Spirito libero e impegnato politicamente, dopo l’esperienza della Comune di Parigi fu costretto all’esilio in Svizzera dove morì senza poter rivedere la Francia.